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La pianificazione della delusione

La delusione richiede un'accurata pianificazione. Avete mai pensato a quanto vi date da fare al fine di restare delusi? Ci vuole una pianificazione adeguata. Più pianificate, più sarete delusi. Alcune persone vanno al cinema per poi dire "non era così bello come credevo". E questo mi sorprende sempre, se queste persone hanno un così bel film dentro alla loro testa, perché anfdare al cinema? Perché stare in un luogo appiccicoso, seduti scomodamente e dopo dire "potevo fare di meglio nella mia testa e senza neanche una sceneggiatura".


R. Bandler, Usare il cervello per cambiare, Astrolabio 1986, pag. 15

 

"La delusione richiede un'adeguata pianificazione". La prima volta che lessi queste parole, la loro realtà mi colpì come un maglio. Non avevo mai pensato alla delusione come un qualcosa di pianificato. Effettivamente, non ritenevo di aver mai pensato a quanto e come lavorassi al fine di rimanere deluso di qualcosa. Eppure, ci sono state infinite volte nella mia vita in cui ho immaginato un evento con un senso di anticipazione destinato a rimanere insoddisfatto.

Ma cosa intendo con il termine "anticipazione", cosa anticipiamo quando pensiamo al futuro e in che modo questo in ultima istanza rappresenta la principale modalità attraverso cui ottenere una bella delusione? E perché non utilizzare la nostra mente al fine di ottenere qualcosa di diverso?


Visualizzare bene, visualizzare meglio.

Come molti sapranno e facendoci caso d'ora in avanti lo sapranno anche meglio, le persone spesso pensano in termini di immagini, suoni e sensazioni. Con questi "mattoni" che costruiscono l'umana epistemologia (cioè le modalità con cui costruiamo la realtà in cui viviamo e la dotiamo di un certo senso e di un certo significato), "anticipiamo" quello che accadrà ogni qual volta che ci accingiamo a pensare ad una qualunque attività quotidiana. Un viaggio, una visita ad un amico, raggiungere il luogo di lavoro, parlare con un cliente piuttosto difficile, ritornare a casa la sera, passare un weekend con i suoceri sono solo alcuni piccoli esempi di una categoria altrimenti sconfinata. Oddio, il weekend con i suoceri. Immagino i loro sorrisi posticci, il tono delle voci, mi sembra di sentire il tenore dei loro discorsi e mentre faccio tutto questo, avverto un senso di pesantezza che mi fa sentire proprio giù... L'unico modo di sopravvivere, sorridere alle loro battute che non fanno ridere, parlare del più e del meno, limitare le nostre interazioni, meno male che c'è il Gran Premio, sabato le prove e domenica la gara, che gran premio...

Fin troppo evidentemente, il modo in cui anticipiamo quello che crediamo accadrà, guida le nostre percezioni, le nostre azioni ed infine in qualche misura determina quello che realmente succederà. Tuttavia in senso stretto, facendo questo non stiamo procedendo a costruire la nostra delusione, ma piuttosto ad assicurarci che tutto proceda come pianificato. Non un gran modo di pianificare il nostro tempo, tuttavia, non un modo di trarre il meglio da una situazione (s)oggettivamente difficile...

Tuttavia, esiste una specialità in cui, tra le molte altre, eccellono maggiormente le donne, in quanto più abituate ad utilizzare la loro mente al fine di crearsi speciali momenti di delusione, non già attraverso la mera esecuzione di piani fallimentari (come il nostro caro amico abbandonato sul divano a vedersi il Gran Premio), ma attraverso la pianificazione di dettagliatissime sequenze di "cose", "avvenimenti", "dettagli" che informano le persone quando un evento per loro importante sta avvenendo o meno "come dovrebbe". Un autentico copione, una sceneggiatura che prevede scene e azioni precise che devono avvenire in un certo ordine al fine di ritenere soddisfacente un certo corso di eventi. Una straordinaria ricchezza mentale, un modo assolutamente interessante di usare la propria mente che tuttavia cela delle insidie: che cosa succede se qualcosa va storto? In che modo una persona che utilizza un riferimento interno, un copione per informarsi dell'andamento di una esperienza che coinvolge un ambiente ricco di variabili non totalmente sotto al suo controllo, può salvarsi dall'inevitabile, cioè da un sentimento di mancato o parziale appagamento, in ultimo dalla pianificazione della delusione?

Certo, una certa "dose" di pianificazione può apparire fondamentale. Se vogliamo andare al cinema piuttosto che al ristorante, può essere utile informarsi circa la programmazione così come assicurarsi che il menù possa essere di nostro gusto. Ritorniamo all'esempio del ristorante. Prima di ordinare un secondo, dobbiamo usare una strategia mentale per informarci se quel particolare piatto sarà di nostro gusto. Certo, possiamo basarci sull'esperienza precedente. Nella nostra storia di interazioni culinarie con una braciola di maiale per esempio, possiamo ricordarcene il gusto. Se ci facciamo caso, spesso possiamo vedere proiettato sullo "schermo" della nostra mente il piatto che ci aspettiamo di mangiare. L'aspetto immaginato guida le nostre sensazioni di benessere (non si dice che si mangia anche con gli occhi?). Possiamo ricordare il particolare grado di cottura della carne, nonché la presenza di quelle patate passate al burro che ci erano piaciute tanto. Ora, se arrivasse il piatto ordinato e quest'ultimo differisse e non poco da quello che ci eravamo aspettati, come cambierebbe il gusto con cui ci approcciamo a mangiare la nostra cena? Forse la carne è un po' più o meno cotta del previsto. O forse le patate sono tagliate diversamente da come ce le aspettavamo. Personalmente, trovo disdicevole quando mi presentano la carne con le patate tagliate a mo' di fiammifero, perché le preferisco tagliate a quadretti. Se la carne è troppo cotta, inizio subito a pensare che sarà dura e insapore, in quanto la preferisco al sangue. E se utilizzo questi criteri per stabilire se la carne mi piace oppure no, allora è facilmente intuibile che indipendentemente dal gusto del piatto, ho già stabilito che non mi piacerà. E mentre nutro questi pensieri, allora posso iniziare a notare l'ambiente intorno. Certo, in un ristorante del genere, cosa potevo aspettarmi di meglio. Le cose peggiorano mentre guardo la persona davanti a me che trangugia di gusto il cosiddetto "cibo" preparato da questi incapaci che neanche sanno come presentare un contorno adeguato. Non oso chiedere se al mio sodale piace il suo piatto o se anche lui sta pensando di dar fuoco all'intero locale, perché in caso mi risponda di sì, che la porcheria che sta trangugiando apparentemente con tanto gusto è anche di suo gradimento, allora forse dovrei chiedermi se non devo scegliere più accuratamente i miei commensali (tanto più che il posto non l'ho scelto io...).

Esagero, non è forse vero? Eppure spesso ci comportiamo proprio così. Immaginiamo come sarà una certa cosa, e quando la realtà non si conforma a quello che pensavamo, ne rimaniamo delusi. A volte ci deludiamo così tanto che perdiamo di vista il motivo per il quale eravamo usciti a cena, cioè presumibilmente trascorrere una bella serata. Un dettaglio diviene improvvisamente più importante di tutto il quadro, e lo colora di un colore differente.


Porre attenzione all'attenzione.

Un semplice esperimento aiuta a comprendere quel che intendo. Se in un qualsiasi ambiente vi concentrate su un particolare colore, che so, il rosso, allora dopo poco inizierete a notare tutte le cose di colore rosso che prima vi erano sfuggite. Improvvisamente il rosso potrebbe diventare il colore dominante del luogo in cui vi trovate. Come se la nostra attenzione colorasse il mondo. Meglio, ciò su cui decidiamo di porre l'attenzione colora il nostro mondo.

Bene, ora che c'è la diagnosi, qual è la "cura" che ci salvi dall'inganno in cui ci siamo gettati? Prestando maggiore attenzione alle "cose" a cui prestare maggiore attenzione.



SE NON ESISTE (condizione a) + (condizione b) + (condizione c) ALLORA DELUDITI


In fin dei conti, dovrebbe saltare subito agli occhi il fatto che non andiamo al ristorante per verificare il grado di cottura della carne o la lunghezza delle patate al forno. E invece....?

Fin da bambini siamo cresciuti dentro l'insana credenza che il ben-essere, lo stare bene sia un qualcosa che ci viene somministrato dall'esterno e solo in concomitanza di particolari condizioni. Quando il bambino piange, gli si dà il cibo, quando è più grande, lo si consola dandogli un gioco, un oggetto. Quindi il primo controllo su di sé che il bambino impara ad utilizzare al fine di "controllare" il comportamento dell'altro (e quanti da adulti fanno ancora la stessa cosa...) sono proprio i suoi stati emotivi. Sa che deve piangere se vuole qualcosa. Naturale che sviluppiamo la tendenza, rafforzata dall'uso, di "esternalizzare" la responsabilità delle nostre emozioni e sentimenti ("quello che mi hai detto mi fa star male"), perdendo così quella consapevolezza che ci permetterebbe di renderci "autori" dei nostri stati d'animo. Di pianificare, questa volta sì, quali stati emotivi vogliamo portare al ristorante con noi. Naturale che molti di noi crescano convinti che la "felicità" sia una condizione derivante da una serie di "fortunate" co-occorrenze sulle quali spesso abbiamo un limitato controllo.

Ma come cambierebbero le cose una volta che noi stabilissimo per noi stessi una certa "cornice" in cui "leggere il significato" degli accadimenti attorno a noi stessi? Come cambierebbero le cose se imparassimo a renderci consapevoli del potere di gestire i nostri stati emotivi in maniera più autonoma dagli eventi esterni? Come realizzare questo pezzetto di "ingegneria umana"?


Primo e secondo piano

Qualche tempo fa, su Facebook circolava la foto di un'avvenente fanciulla. La foto metteva in luce un prospiciente particolare anatomico, per farla breve, la ragazza aveva un paio di invidiabili tette. Credo che la maggioranza delle persone non abbia tutt'ora notato il grosso orso bruno che faceva capolino dalle spalle della ragazza. Quel suddetto particolare anatomico aveva il "potere" di sequestrare l'attenzione al punto che al di fuori di esso, tutto il resto passava letteralmente in secondo piano. Inutile ricordare che ogni anno migliaia di incidenti stradali avvengono per le medesime ragioni... Non so quanti esempi analoghi della capacità della mente umana di concentrarsi su un dettaglio fino al punto di annichilire tutto il resto possano giungere alla coscienza ora. Tuttavia, ancora più chiaramente si delinea il beneficio che noi esseri umani possiamo trarre dall'imparare a direzionare la nostra attenzione laddove ciò ci garantisca una qualità migliore delle esperienze che momento dopo momento viviamo tutti i giorni. E come possiamo riprenderci in mano il diritto di costruire la nostra realtà a nostro beneficio?


In Principio fu l'intenzione

Come iniziamo a comprendere, molti di noi utilizzano riferimenti esterni per guidare la costruzione dei loro stati emotivi. Se alcune "cose" ritenute importanti in un dato momento avvengono come ci si aspetta che avvengano, allora possono permettersi di sentirsi soddisfatti. Non un modo che garantisca alcun successo nell'impresa... Un migliore posto di lavoro, un'improvvisa gratificazione economica, l'incontro con una particolare persona, una gita fuori porta sono tutti esempi in cui la complessità delle variabili in gioco è tale da essere in buona parte al di fuori del nostro controllo. Non possiamo controllare le condizioni meteorologiche così come non possiamo controllare l'umore del nostro capo al lavoro o l'occhio con cui ci guarda la fortuna col gratta e vinci. In fin dei conti, molti di noi non sanno che possono controllare in larga parte i loro stati emotivi, figuriamoci il resto. E allora? Allora incominciamo intenzionalmente a ribaltare l'equazione della soddisfazione. Affinché tutto proceda per il meglio, ci si può aiutare assumendo la giusta posizione mentale nonché fisica semplicemente facendo due respiri profondi, calmando la mente e pronunciando internamente ma con convinzione, una qualunque variazione sul tema:



Ora decido di cercare soddisfazione dall'esperienza x indipendentemente da (condizione a) + (condizione b) + (condizione c), perché riconosco il valore di me stesso come soggetto capace di realizzare gli obiettivi a cui aspiro.


Partendo con la "fine" in mente (la soddisfazione di fare una certa cosa) e svincolandola dalle condizioni incontrate durante il percorso, ci garantiamo maggiori chances di successo. In qualche modo ci proiettiamo già nello stato desiderato, lo rendiamo attuale adesso e predisponiamo la nostra mente a ricercare quello stato di benessere che ultimamente, ci aiuta a condurci laddove vogliamo arrivare.


Human Engineering

Di fatto, non c'è nulla di nuovo sotto al sole. Se iniziamo a verificare come facciamo tutto questo abitualmente tutti i giorni, allora sarà abbastanza facile rendersi conto di come spesso utilizziamo l'ingegneria degli stati d'animo a nostro discapito. Utilizziamo il nostro potente sistema nervoso e linguistico per ratificare stati di stanchezza, mancanza di iniziativa, sfiducia in noi stessi che, una volta messi online, nullificano ogni possibilità di provare qualcosa di diverso. Non c'è nulla di più stancante che ripetersi quanto siamo stanchi, di inibente a qualsiasi tipo di iniziativa ripetersi di non avere voglia di fare nulla, così come noi tutti conosciamo quanto è potente l'attrazione del letto quando al mattino ci diciamo "come si sta bene a letto... ma chi me lo fa fare di alzarmi". Un po' come impostare il navigatore satellitare per NON trovare un bar, NON trovare un ristorante, NON trovare un cinema, per poi stupirci del comportamento bizzarro del GPS che si ostina a portarci in giro a casaccio.


Qui si conclude questo non così breve scritto con alcuna pretesa oltre stuzzicare l'appetito e la curiosità del lettore, il quale invitiamo a contattarci in caso volesse saperne di più.




















AAAAAAAAAAAA


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